Che disastro, signora mia!

Si svegliò da un sonno profondissimo, senza sogni, senza se e senza ma, senza sé e senza alcun altro.
Un sonno che non avrebbe saputo dire da dove venisse, né dove l’avesse sepolta fino a quel momento, sotto secoli di nero pesante e spesso, come una coperta infeltrita dell’universo. Si svegliò e per un momento non ebbe coscienza di sé, era solo un essere riemerso dal nulla, in cerca di definizione e contorni.
Poi la presero.
Due mani di acciaio le premettero il petto con una intensità tale che per un momento non riuscì a respirare. Perché di colpo accadde: ricordò.
Si girò di scatto e vide il piccolo corpo che dormiva accanto a lei incredibilmente sereno, come se niente dell’orrore che aveva stravolto le loro vite riuscisse a toccarlo. Suo figlio respirava e questo le parve sufficiente.
Per un attimo il ricordo, l’immagine di se stessa che, ai tempi in cui Matthew era appena nato, si chinava sulla culla per accertarsi che respirasse fu come una spada di nostalgia crudele e affilata. Ora, quel gesto non era più un’accortezza superflua da neo mamma un po’ ansiosa, era semplicemente la ragione, il fardello che la teneva in vita. Senza la responsabilità, la speranza, e il peso di quel respirare, probabilmente si sarebbe già lasciata sbranare, le forze delle sue braccia esili, da ufficio, l’avrebbero abbandonata sin da subito e, a ben pensarci, le sembrò un miracolo l’essere riuscita a mantenere in vita se stessa e suo figlio per tutto quel tempo. Uno miracolo, oppure uno scherzo del destino.
“Mamma…”
“Buongiorno.”
“Mi scappa la pipì.”
“Vai”
Il bimbo sì alzò e sgattaiolò in bagno a piedi scalzi.
Prima del disastro, dopo essere stato in bagno, avrebbe fatto colazione – bevi il latte, no, almeno un po’, no, forza dai che facciamo tardi – si sarebbe vestito, avrebbe indossato la divisa della scuola, quella scuola appena iniziata e ora così lontana, mente lei avrebbe bevuto un caffè frettoloso, salutato John e… La seconda morsa d’acciaio sul petto la strinse, inesorabile, come accadeva ogni mattina quando il suo pensiero andava a John.
“Mamma… Ho fame”.
Andarono in cucina senza aprire gli scuri, muovendosi grazie alla luce naturale che filtrava attraverso i vetri spessi della porta d’ingresso e dai lucernai sul tetto.
La donna preparò dei panini con del pane secco e un po’ di marmellata e diede al bambino l’ultimo bicchiere di latte.
“Dovrò andare a fare la spesa”.
Disse proprio così – dovrò andare a fare la spesa – non “dovrò uscire a procurarmi del cibo” o roba simile.
Guardava suo figlio sgranocchiare il pane secco con rassegnazione, gli occhi ancora gonfi di sonno, le maniche del pigiama troppo lunghe.
All’inizio non si accorse della figura che armeggiava con la porta. Era abituata ai loro tentativi di entrare, e sapeva che quando non erano in branco non c’era motivo di preoccuparsi eccessivamente. Avrebbe desistito presto, avrebbe…
“Mamma… Mamma!”
“Mmmh…?”
“Mamma, svegliati!”
“Mmmm…. Che c’è? che ore sono?”
Apro gli occhi e in un attimo realizzo: devo darci un taglio con “The walking dead”.

2 commenti Aggiungi il tuo

  1. mortozombie ha detto:

    come ti capisco! COME TI CAPISCO!! C O M E T I C A P I S C O ! ! !

    eheheh ottimo direi 😉

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  2. L'arrotina ha detto:

    Son stata morsa pure io, hai visto?

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