La colonia estiva degli anni ’80. Ovvero, breve excursus sulle origini della malinconia.

Ci sono certe giornate annoiate, con i pomeriggi caldi e fermi e un sole friggente all’occhio di bue in mezzo al cielo, in cui mi ritornano in mente alcune estati bambine trascorse in colonia. Un misto di vacanza e prigionia, caramelle e cattiverie, ghiaccioli fluorescenti e architettura fascista.
Giurerei che parte della mia tendenza alla malinconia si sia forgiata in colonia, e forse non è un caso che quando al rientro a scuola ci chiesero di disegnare un albero, scelsi il cipresso. Descrizione: “il cipresso si stringe in se stesso per trattenere le lacrime. Del resto, lo mettono nei cimiteri”. Tiè.

Di seguito, più o meno come son tornati su, sei piccoli ricordi traumatici della colonia.

IL BAGNO in mare aggrappati a una corda con i nodi.
A ogni nodo un bimbo, a ogni bimbo il suo nodo.
Il nostro compito era restare aggrappati alla corda per non disperderci. Io ero la più piccola tra i nodi-bambini e così una volta finii sott’acqua con la testa, quasi affogai pur di rimanere aggrappata come ci avevano ordinato. Nessuno se ne accorse, legati eppure divisi come eravamo.
Dieci piccoli bagnanti se ne andarono a nuotar, uno fece un’immersione, in nove rischiaron di restar.

LE CIABATTE esposte accanto al letto prima di andare a dormire.
Una ciabatta significava che durante la notte eri abituato a fare pipì una volta e pertanto un assistente ti svegliava nel mezzo del sonno per accompagnarti al bagno. Due ciabatte = due sveglie.
Io non avevo questa abitudine, ma l’idea che mi scappasse di andare al bagno e non ci fosse nessuno ad accompagnarmi attraverso i corridoi scuri del salone enorme dove noi bambini dormivamo, mi terrorizzava. Così mi sottoponevo volontariamente alla tortura della privazione del sonno: esponevo per scrupolo due espadrillas più un sandalo di gomma.

IL CINEMA al chiuso.
Ovvero le proiezioni serali nel gigantesco salone centrale della colonia. Cavallo di battaglia: “Marcellino pane e vino”, praticamente la storia di un bambino orfano che alla fine muore. Aggiungo solo una domanda: Perché?

I SALUTI strazianti ai genitori quando ripartivano al termine della visita domenicale.
Se la vita fosse un bigliettino perugina, a noi sarebbe toccato “L’amore è un valzer di addii” (Gigi D’Alessio – Milan Kudera).
Su, su, non si piange, ci dicevano le assistenti, dopotutto dovete rimanere solo un’altra settimana (ma vaffanculo va).

LA FILA per comperare le caramelle al baracchino dei dolciumi, una specie di edicola nel cortile della colonia che vendeva lecca-lecca e rotelle di liquirizia.
Ricordo le parole dell’assistente a mia madre, quando mi venne a trovare: è una brava bambina, praticamente non spende quasi niente.
Credo che la mia tendenza a sottovalutarmi affondi le radici lì. Sono una bambina che spende poco.

LE CATTIVERIE alla Mirka.
La Mirka era una bambina con sindrome di Down. Indossava vestiti con grandi fiori e un cappellino spiovente bianco. Era sempre sorridente.
La cattiveria per me ha la faccia abbronzata di tre ragazzini che le spalmano il gelato al cioccolato sul retro del vestito per poi chiederle se se la fosse fatta addosso. La loro cacca sui suoi fiori.
Per dirla alla De Andrè: cari compagni di branco, derideste tutti la medesima donna, questo ricordo non vi consoli, quando si muore, si muore soli.

Dieci ricordi rotti, sei ne ho aggiustati, quattro stanno in fila ancora addormentati.
Ma il bacio di un bambino li può accoccolare, rimboccare le coperte e farli evaporare.

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2 commenti Aggiungi il tuo

  1. Caro ha detto:

    Ohhhhhhh ma davvero??? Bello ma troppo commovente!!!sigh ….

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    1. L'arrotina ha detto:

      commuoviamoci! 🙂

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