Piante, cani e libertà

A casa nostra c’è una siepe.
È una siepe speciale, perché la parte inferiore è perfettamente squadrata, frutto del lavoro di mio padre che in origine le ha dato forma e confini, ma la parte superiore è cresciuta libera e arruffata, frutto della nostra incuria e, almeno per quanto mi riguarda, distrazione. Io infatti mi accorgo di poche cose, e spesso non di quelle più funzionali. Potrebbe crescermi una palma nel vasetto del basilico e non ci noterei niente di strano. Per me Basilico può sentirsi Palma, se lo desidera, e cantare a squarciagola “My way” in giardino, con il vento tra le foglie.
Ad ogni modo la nostra siepe è una di quelle piante che trovano il sistema di esprimersi facendosi largo tra gli spazi di luce, ha ricombinato le foglie e i rami che aveva a disposizione sino a formare nuovi ramoscelli e spararli in alto come pareva a lei, spararli fuori come se non ci fosse un pubblico, né un criterio, così, alla cazzo di cane. Non lo so perché, ma a me fa tenerezza.
Che faccia quella cosa lì – di lanciare in aria rami come braccia aperte, come segnacci di pennarello fuori dai bordi, di metter su foglie a destra e a manca – a me sembra bello.
Quando io e Lorenzo arriviamo a casa, io da lavoro, lui dalla sua seconda elementare, guardiamo la siepe e lei ci mette di buon umore. “Guardala lì”, diciamo, “cresce come le pare”.
“Sì, se ne frega.”
“Vuole essere libera.”
“Come Pluto, che appena apri il cancello corre fuori!”
“A tutti piace la libertà.”
“Anche ai cani e alle piante?”
“Direi di sì.”
“Mamma, sì. Perché se a tutti non piacesse la libertà, le prigioni sarebbero spazi aperti.”
Eh già.
Non so perché, ma mi sembra che Lorenzo abbia detto una cosa profonda, con le parole così, montate al contrario. Una cosa ovvia e che sta lì, in superficie, ma con dentro una qualche pietruzza di saggezza misteriosa che viene su dal fondo, dai bambini, dalle piante e dai cani, che viene da spazi dove i pensieri sono in costruzione, le frasi non son fatte e i luoghi sono di tutti, ma non comuni.
Forse perché è qualcosa che ha a che fare con l’umanità, anche di chi sbaglia.
Tutti siamo alla ricerca della stessa cosa: ogni tanto di buttare fuori rami a modo nostro. E a tutti capita di fare qualcosa di storto, o di voler fare qualcosa di meravigliosamente imbarazzante, di inappropriato, come un gigante rutto a tavola.
Va’ dove ti porta la fotosintesi.
Oggi sono rientrata a casa e mio papà stava potando la siepe.
Voleva farci una sorpresa e farcela trovare “in ordine”.
“Grazie, ma un po’ mi dispiace per lei” gli ho detto, “guarda lì, che bel lavoro stava facendo…”.
Mio padre, artigiano pragmatico, per un momento mi ha guardato come se gli avessi detto una cosa tipo “Grazie, ma credo fermamente negli asini zebrati della Macedonia”, una cosa stramba insomma.
Però dopo un po’, senza farmi altre domande, ha buttato lì un: “Magari ne lasciamo un ciuffo libero, lì a destra”.
E così adesso abbiamo una siepe con le foglie di nuovo in ordine.
A parte il ciuffo.

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La foto qui sopra è di Mirko Piccinato.
Altre sue bellissime qui: http://www.mirkopiccinato.com

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