Finalmente, ti dici, finalmente un albergo dove non ci sono quelle stitiche tesserine per aprire la porta, ma una bella chiave grossa di quelle di una volta, una chiavona.
E per accendere la luce, non devi infilare la stitica tessera, statisticamente sempre storta, su qualche stretto angolo di muro, ma basta premere un bel tastone, quello di un classico interruttore che accende la luce come mangia, senza strane velleità da vorrei-essere-un-techno-hotel-ma-sono-un-cugino-di-campagna. Click, luce, fu, punto.
Finalmente un armadio dove ci sono degli appendiabiti veri, non quelle grucce attaccate al bastone con le unghie e con i denti, che per appendere la camicia devi arrampicarti senza dignità. Ma dei sinceri appendiabitoni. Stacchi, appendi, attacchi, punto.
Finalmente un albergo come si deve, semplice, sincero, vero.
Poi abbassi lo sguardo.
E la noti.
La moquette.
Una polverosa sbiadita irriducibile moquettona degli anni ottanta.
E pensare che stavi quasi per innamorarti di questo ruvido hotel, eri già pronta a una tripadvisorata fantastica.
Ma per amarlo
bisogna avere la moquette sullo stomaco.
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(No, comunque non era così fashion-vintage-shining,
la mochettona dell’albergo in questione.
Ma la foto vera non avevo cuore di metterla)
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