Precedenti:
1) Ogni casa è illuminata (leggi)
2) Giovanna (leggi)
Ida
Ida si guardò le dita. Sembravano proprio degli asparagi, come le dicevano ogni tanto. Che poi chissà perché alla gente veniva in mente quella pianta lì, non è che l’asparago sia una cosa così ovvia a cui pensare, quando vuoi fare un paragone.
Però non avevano torto. La base era grossa e poi le dita via via si affusolavano sino a esprimere una punta sottile. Sottile come la cima di un asparago.
Nella punta dell’indice c’era una macchia di papavero cioè, per meglio dire, di colore rosso con cui per tutta la mattina aveva tentato di riprodurre sulla tela un campo di papaveri, cercando di mischiare i toni che stavano nella sua testa con quelli che c’erano sulla pagina del catalogo di Monet.
Ma il rosso che otteneva le sembrava sempre un po’ spento e quando lo accendeva, aggiungendo pigmenti, finiva per sembrarle finto. Vabbè.
“Manca poco ormai”.
La voce alle sue spalle le fece fare un sussulto, come se fosse stata scoperta nella flagranza di un pensiero inutile.
“Sì, meno di una settimana.”
Faceva caldo e da qualche giorno aveva smesso di andare a fare il mercato. Per la prima volta, dopo tanto, aveva un po’ di tempo libero. Ma le piaceva comunque svegliarsi prestissimo e per cui anche quella mattina si era alzata alle cinque ed era andata a dipingere nel retrobottega del salone di un’amica parrucchiera. Un minuscolo e disordinato stanzino dove il sole delle undici entrava a frecce e si conficcava nella tela e così Ida sapeva che era ora di smettere e ritornare a casa a preparare il pranzo. Ma quel giorno invece di dirigersi subito verso casa si era fermata al salone.
“Vuoi che ti faccia la piega?”
“No, passavo solo a trovarti.”
La giovane donna e la parrucchiera parlarono per un po’ del più e del meno e poi Ida decise che era ora di andare.
Salutò l’amica, uscì dal negozio e iniziò a camminare. E se qualcuno in quel momento avesse guardato nella sua direzione, avrebbe visto una donna grossa venirgli incontro, incorniciata dai profili di una vetrata con sopra l’insegna di una parrucchiera, e via via la cornice sarebbe passata in secondo piano e la donna sarebbe diventata più grande e nitida. Avrebbe incontrato due seni alti e un naso regolare, poi un paio di occhiali spessi, e infine due occhi verdi, di quel verde scuro di cui son fatte le olive. Avrebbe fatto caso al vestito prendisole con i fiori rosa, e alle braccia nude, alle gambe dritte, e alla macchia di papavero in cima all’indice.
La giornata era luminosa e alcuni lembi di nuvole, che a Ida fecero pensare a delle ali, erano spiegati quanto basta per darle protezione.
Nella piazza del paese era arrivata una giostra per bambini, che era davvero strana perché al posto dei cavalli aveva delle anatre col becco che giravano su se stesse.
Ida camminava da sola pensando al campo di papaveri e alla bambina e alla donna con l’ombrellino che erano ritratte in mezzo al quadro.
Superò la giostra e poi la piazza e poi il lungo viale alberato e perfino la carrozzeria di Herman che stava alla fine della strada asfaltata. Ormai le pareva di aver varcato una soglia definitiva e pensò che avrebbe potuto camminare ancora, e magari raggiungere la trattoria che avevano aperto in mezzo ai campi, oltre il ponte di legno. Si sarebbe seduta al tavolo sotto la quercia e avrebbe ordinato qualcosa da mangiare e mezzo bicchiere di vino. Il vino rosso rubino fa il cervello d’oro fino. Le spuntò in testa quella frase, che ogni tanto sentiva dire da suo padre.
“Ha bisogno di un passaggio?”, un uomo aveva accostato l’auto e le stava sorridendo. “Dove va?”
“In trattoria” rispose Ida, e le sembrò plausibile come risposta.
L’ultimo tratto di strada era accidentato e lo percorse seduta nell’auto dello sconosciuto, con l’odore di menta e una canzone della Vanoni alla radio.
Il fluire al di là del vetro le dondolava i pensieri e si scopriva a contare gli alberi, perdere il filo e ogni volta ricominciare. L’uomo canticchiava e sembrava a proprio agio.
Le mani di lui tenevano il volante, le mani di lei avevano smesso di tenere il tempo.
L’aria che scorreva sul collo di Ida era liquida che sembrava acqua calda.
Vi erano immersi entrambi, la donna con gli occhiali e l’uomo che ascoltava la Vanoni. E anche la bambina, in fin dei conti. Dentro un liquido amniotico da cui potevano nascere possibilità come figli.
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Foto di Mirko Piccinato http://www.mirkopiccinato.com
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Questi racconti femminili sono talmente densi e lievi… bellissimi! Le vorrei conoscere tutte!
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Che bello! Grazie, sono felice che ti piacciano. Aspetto anch’io di leggere il prossimo tuo…
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