Ci sono giornate dove tutto è contenuto in un micro universo di vetro come in una di quelle palle dove nevica sempre al momento giusto, basta girarle sottosopra e al desiderio di neve corrisponde un appagamento di neve, e così è chiaro che la felicità è un attributo della prospettiva. È un esercizio al cambiamento fino al limite, fino all’osso palindromo delle cose che non cambiano.
Ci sono serate dove tutto è contenuto come in una clessidra dallo scorrere fluido, in un punto e virgola che è la punteggiatura più perfetta che c’è, come in un ballo piedi sui piedi, dentro un abbraccio rotondo di padre, dietro un bacio trattenuto di amante.
Poi tutto esplode d’un tratto.
Ecco il solletico di una parola che non sale alle labbra, e il prurito e poi il sollievo del ricordo.
Arriva la risata forte che è l’orgasmo buffo della pancia, giunge lo starnuto che è uno scoppio di pop corn, il sospiro che solleva le coperte, l’espirazione che è la chiave della prigione toracica, e certe volte arrivano anche le lacrime che riportano all’intelligenza liquida il lato solido del pensiero.
Ci sono momenti così, nei quali tutto si compie, e ciò che incombe se ne sta fuori. In casa non c’è spazio, perché ci sono gli amici, l’amore e qualcuno si è offerto di fare il caffè. E se c’è il bicchiere di vino con un panino ci sono anche Romina e Albano, me ne rendo conto (mai capito come si scrive, Al Bano?).
Ma certe sere finisce così, Felicità – Cinismo: tre a zero.
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