Gentile conducente del pulmino della scuola,
sono quella mamma che ogni mattina le consegna il bambino alle 7 e qualcosa.
Come ‘quale mamma?’, lo so bene che lei sa chi sono e mi giudica.
Ad ogni modo glielo ricordo sinteticamente: sono quella che esce in strada con il pellicciotto sintetico sopra il pigiama a righe di finta seta, infradito versione giappo su calzino bianco in inverno e stivaletti di eco-pelo su pelle nuda in estate, e non mi chieda perché non inverto le soluzioni, non lo so.
Capelli finto spettinato, diciamo così, occhiali con lenti vedo-non-vedo, incarnato di cellule morte e sguardo da panda del WWR (Wild Waterproof Rimmel).
In un tardivo risveglio di amor proprio – ma è perché non ha suonato la sveglia, giuro – talvolta tento di darmi un tono completando la mise con un Bloody Mary tarocco in mano (bevanda sintetica della Lidl al sapore di arance sanguinelle) e al collo un giro di perle, sempre sintetiche, che fa subito Chanel (posso assicurare al WWR che niente di naturale è stato maltrattato per questo outfit).
Insomma, sono quella conciata a cazzo che cerca di nascondersi dietro la siepe e le fa un cenno di saluto con fare circospetto e con aspetto da circo, e poi abbassa rapida lo sguardo.
Sono quel losco figuro che sembra scampato ai servizi sociali o a un programma di Real Time (madri da incubo, home edition).
Ecco io, gentile conducente del pulmino, vorrei farle sapere che in fondo sono una brava persona e che poi, dopo averle consegnato mio figlio, rientro in casa (no, io e mio figlio non dormiamo in auto), mi vesto dignitosamente e mi reco a lavoro.
E ci tengo anche a spiegarle il motivo per cui prima di andarmene attendo sempre ossessivamente che le porte del pulmino si chiudano del tutto, ma proprio del tutto: è perché da ragazzina ho letto troppi romanzi di Stephen King e visto troppi film dossier e così mi è venuta la Sindrome del dingo, cerchi di capirmi.
Cioè ho sempre paura che un dingo o un maniaco o qualche altra pericolosa creatura possa rapire mio figlio mentre tutta la collettività mi guarda con sospetto e io (che nel mio delirio ho le sembianze di Maryl Streep) grido la mia innocenza risultando però poco credibile col mio Bloody Mary in mano.
E per cui sto lì, seminascosta dietro la siepe, e guardo mio figlio fino a che le porte si chiudono del tutto ma proprio del tutto e lui si siede in fondo alla corriera e mi saluta agitando la mano mentre un sorriso di incisivi mezzi da latte e mezzi per sempre gli si allarga luminoso sulla faccia scacciando tutti i mostri.
E così io do un calcio in culo al dingo, e vado a prepararmi per andare in ufficio.
.
.
Vecchi traumi
(degno di nota il calzino di spugna della Maryl)