Termino di leggere “Il meraviglioso mago di Oz” con Lorenzo (che ha otto anni ormai, dio come è cresciuto) e poi cerchiamo nell’ipad qualche spezzone dell’omonimo vecchio film (che ha settantotto anni ormai, è del 1939).
Dorothy nel film indossa, sopra dei calzini sottili azzurri, un paio di scarpette rosse appartenute alla malvagia Strega del Est che sono davvero bellissime. Le desidero. Penso che sono molto eleganti e stravaganti, stravaganti buone, perché il lieve calzino azzurro le addolcisce e le preserva dall’essere di cattivo gusto, e perché Dorothy ha una eleganza innata. Eleganza e innata sono due parole che vanno sempre assieme, se si dice eleganza viene di seguito l’innata.
Ad ogni modo, il libro, non ricordavo quanto fosse bello.
Da quell’inizio grigio e ventoso nel Kansas dove la casa di Dorothy viene sollevata con un ciclone, a quel vorticare in aria, fino a quel camminare su strade dorate costeggiate da campi e piante alte di mais in cui avvengono gli incontri con lo spaventapasseri e il boscaiolo di latta e il leone codardo, le ambientazioni sono meravigliose.
Invece il modo in cui alla fine il mago-ciarlatano Oz dà un cervello allo spaventapasseri, un cuore al boscaiolo e il coraggio al leone codardo, è forse più bello nel film che nel romanzo, a detta mia e di Lorenzo. Il romanzo sbrodola un po’ in trovate chirurgico-posticce, tipo aprire il petto al boscaiolo di latta per ficcarci dentro un cuore di seta e poi richiudere saldando lo squarcio, mentre nel film il tutto avviene semplicemente attraverso i Riconoscimenti, ovvero conferendo un diploma, una medaglia al valore e soluzioni così, semplici appunto e, forse, più commoventi. A detta mia e di Lorenzo.
Persino le parti musical, che solitamente detestiamo, ci paiono belle e ci fanno sorridere. Lorenzo sostiene poi che l’attore che interpreta Oz sembra Donald Trump, ma solo visto da lontano. Un po’ è vero. Ridiamo che sembriamo complici anche visti da vicino.
Provo desiderio per quelle scarpe rosse, una nostalgia tremenda, per quelle maledette e brillanti scarpe.
Chiedo a Lorenzo qual è il suo ricordo più bello di quando era piccolo, cioè più piccolo. Dice che non sa e, come spesso fa, mi rigira la domanda.
Rispondo “quando giocavo con le mie cugine e si faceva finta di essere i naufraghi di ‘Flo, la piccola Robinson’.”
La risposta lo soddisfa abbastanza da concedermene una a sua volta: “quando ti mordicchiavo”.
Perché? indago io, che non mi accontento mai di una cosa che è già perfetta così com’è.
Non lo so, risponde lui, naturalmente.
Perché sentivi il sapore di mamma? chiedo.
Sì, mi fa lui.
Maledette, tremende, struggenti, scarpe rosse.
Il film compirà in un batter d’occhio ottant’anni, crescerà che quasi non ce ne accorgeremo.