Mio figlio disegna fumetti, e pare che nella sua quinta elementare siano piuttosto apprezzati, così lui a volte li regala, altre li scambia con dei fazzolettini di carta.
Dice che i fazzolettini scarseggiano sempre e quindi son merce di valore, moneta di scambio. Insomma in una classe di trenta mocciosi, in pieno cambio di stagione, i fazzolettini di carta a quanto pare sono la valuta corrente.
Fumetti per fazzoletti, la faccenda ha del tenero.
Ma dal momento che io pure sono terribilmente raffreddata e non mi sento niente bene e mi sa che ho esagerato con lo sciroppo allucinogeno per la tosse, ci vedo anche altre sciroccate sfaccettature. Pertanto da un lato sono orgogliosa che la sua arte abbia un mercato, dall’altro mi sento in colpa per il fatto di mandarlo a scuola non con le pezze al culo ma comunque col moccio al naso, e infine, oramai in pieno effetto paura e delirio a Las Vegas, me lo figuro mentre da grande sostiene orgoglioso che lui ha frequentato l’università della strada, o della vita, in quanto costretto fin dalla tenera età a procurarsi i fazzoletti da solo, ad arrangiarsi insomma.
GIAMMAI!
E allora in preda alle visioni e al fanatismo, mi fiondo al supermercato e compro dieci stecche di fazzoletti (già che ci sono passo anche in farmacia e compro una confezione di tachiflù, ché mi sento pure la febbre).
Poi torno a casa e per prima cosa mi piazzo davanti a lui e gli dico ascoltami bene figliolo, la tua arte è una figata, divertiti, coltivala e soprattutto ricordati sempre le proporzioni, 1% inspiration 99% perspiration, occhei?
Occhei, mi fa lui.
E sai cosa vuol dire questo?, continuo.
No, mi fa lui.
Vuol dire che tu non andrai all’università della strada, occhei?
Occhei.
Tu studierai, e ti applicherai perché il mondo ha bisogno di gente preparata, pre-pa-ra-ta, occhei figliolo?
Sì mamma ma perché mi chiami figliolo?
Perché quando ti do lezioni di vita mi sento Robert Redford anziano, e lui direbbe figliolo, occhei?
Occhei.
Bene, e ora prendi questi fazzoletti e mettili in tasca affinché tu non debba più soffrire la fame.
Mamma, ma io non soffro la fame.
Vabbè dai, quel che è, è il concetto che conta, e ora va’, su.
Mamma?
Sì, ragazzo?
Hai qualcosa lì, sei sporca.
Dove?
Lì, ripete indicandomi il naso.
Da’ qua, gli strappo un fazzoletto dalle mani e mi pulisco borbottando qualcosa del tipo tshhh, quando il saggio indica la luna, il bambino guarda il moccio.
Poi mi butto a letto e misuro la febbre: 39.9, come le camicette di Mango praticamente.
Vabbè dai, allora ci sta che sono fuori.
Buongiorno Odette! Purtroppo la pagina non è disponibile. Accidenti! Non poso perdermi il tuo ultimo capolavoro. Annalisa
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Non so che guaio fosse successo, ora ho ripubblicato comunque. Grazie per avermi avvisato del disguido 🙂
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Mi fai sempre ridere e riflettere allo stesso tempo. Guarda che le ansie di noi mamme sono tremende. Poteva diventare un mercante d’arte di sé stesso artista. Maledetto raffreddore :))
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ahaha già poteva e può succedere di tutto
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