E tu, tu lo senti lo spirito del Natale, quest’anno?
No, risponde.
Già, annuisco, sembra essere così per molti.
La strada lucida è chiazzata di pozzanghere e avanzi di foglie. L’insegna di una merceria è un merletto che resiste alla trama dei franchising. Il manifesto di un coro gospel penzola, umidiccio, come una nota dal pentagramma. Nell’aria meno luci, meno attesa, meno aderenza alla sintassi con cui ci siamo raccontati fino a oggi.
Uno scollamento non del tutto manifesto ma percettibile.
Sì, last Christmas I gave you my heart, but this year qualcosa o qualcuno di speciale, forse, abbiamo smesso di aspettarlo.
Se durante i Natali pandemici si parlava di tempo sospeso e poi, successivamente, di tempo rappreso, denso come una capocchia di spillo, pieno di sentire, di senso dello scampato pericolo, oggi il tempo è una nebbia leggera, che non ferisce e non esalta, che inumidisce senza elettrizzare.
Ne sono successe di cose dal 2020 a oggi eh, dice.
Già, confermo per la seconda volta, senza sforzarmi di variare risposta.
Senza che sia cambiato davvero qualcosa, è mutato tutto.
Da un bar esce il chiacchiericcio dei clienti e di un notiziario, su tutte prevalgono le parole “bonus” e “spese” e “lavori”. Un cane fa i bisogni al centro di un incrocio, ciliegina sulla rotonda.
Saluto e rincaso, lentamente, decisa a ritrovarla, quella sensazione di magia collettiva che portava con sé il Natale. Quest’anno non ho ancora addobbato l’albero, penso, raccogliendo una foglia macera ai piedi di un platano e appiccicandomela sul cappotto, al centro del petto.
Sorrido. Posso lasciare che siano gli alberi ad addobbare me.
