Ogni tanto, quando mi serve qualcosa di nuovo, tipo in questo periodo un ombrellone o magari una borraccia o un telo da mare, prima di acquistarlo telefono a mio padre e dico “pa’, non è che per caso nel tuo Emporio disponi di tale articolo?”, e mio padre dice “speta che vardo”, quindi si reca in quello che noi chiamiamo scherzosamente l’Emporio, ovvero nel ripostiglio di casa sua dove ha conservato ordinatamente diversi oggetti del secolo scorso, mi richiama e dice “Ce l’ho, vieni a prenderlo”.
E così io, invece di andare che ne so da Decathlon o alla Rinascente, vado all’Emporio e me ne torno con un prodotto degli anni Settanta sotto il braccio.
Certi articoli da giovani marmotte, certe seggioline di plastica essenziali, certi ombrelloni fioriti, certe lenzuola diafane, certi asciugamanini da mare frusti che li metti in borsa e non pesano nulla…
E allora mi trovo a pensare che il vero lusso non risiede mica in chissà che.
Se ne sta in fondo in una manciata di comuni cose di famiglia rese aristocratiche dallo scorrere del tempo, risiede in ciò che consumandosi acquista levità, si annida nell’eleganza di certi filati lisi che hanno il potere di setacciare la memoria rendendola fine, raffinata (il perdono nel presente, le scorie nel passato), selezionata, scelta, episodica, sopportabile, leggera.
O almeno un filo più leggera, dài, dipende anche dalla trama del tessuto.
(il mio ombrellone è diverso ❤️)
E’ bellissimo.
(stupenda metafora, bellissime parole)
E mi godo anch’io un po’ di questa “levità”, quasi dissolvenza, ma non ancora. Distillato d’anima.
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grazie. meraviglioso anche il tuo commento
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