Se mi lasci non vale

Percorro il corridoio e passo davanti alla porta della camera da letto ma tiro dritta senza guardare dentro.
Mi raggiunge alle spalle però il rantolo moribondo del suocero di mia zia.
Cos’è per me, mi chiedo, il suocero di mia zia?
Ho otto anni e non conosco bene le leggi della parentela, però so che spetta a mia zia accudirlo. Il figlio, cioè il marito di mia zia e cioè mio zio, è sempre fuori su una certa nave, per lavoro, sempre lontano, e allora spetta a lei, che è donna moglie e casalinga, prendersi cura dei vecchi di famiglia.
E quello nella stanza del rantolo è uno dei vecchi di famiglia, ma ce ne sono altri che vivono nella stessa grande casa contadina insieme a mio zio e mia zia.
Che sfiga essere donna moglie e casalinga.
Nonostante queste sfighe mia zia è molto gentile e bella, la pelle chiara, i capelli biondi cotonati, gli occhi azzurri. Tutta diversa da me che sono scura, i capelli neri, gli occhi neri, la pelle che si abbronza in fretta e furia.
Ogni tanto, quando mamma ha delle cene di lavoro con certi arabi a cui vende certi mobili di cattivo gusto, così li definisce perché sono tutti decori specchi e arzigogoli, vengo mandata a trascorrere la notte da mia zia, come oggi. E ogni volta, come oggi, arrivo, tiro dritto davanti alla stanza del rantolo e salgo al piano superiore dove si trova la camera da letto degli ospiti.
Mia zia, che è sempre gentile e bella nonostante le sfighe che ho detto, i bigodini in testa e la vestaglia da casa, mi ha preparato il letto con le lenzuola pulite, un pigiama pulito, un asciugamano pulito, e ha messo su nel giradischi il disco di Julio Iglesias, quello che se lo lasci non vale.
Sul comò, accanto al giradischi, c’è una cornice di cartone con la foto di Marilyn Monroe che sorride, una conchiglia nella quale se ti va puoi ascoltare il mare, un centrino fatto a mano, e sopra il centrino un barattolo di vetro che contiene un serpente immerso nell’alcol, o almeno io credo sia alcol.
È un liquido rosa che sembra alcol.
Ho raccontato tutto questo solo per arrivare a questo punto, per parlare del serpente sotto alcol.
Io sono terrorizzata dal serpente sotto alcol.
Innanzitutto perché non sono convinta che sia morto, forse dorme soltanto, e magari con la musica di Julio Iglesias si risveglia, come aizzato da un incantatore malevolo.
“Se mi lasci non vale”, canta la canzone, “dentro quella valigia tutto il nostro passato non ci può stare”. E forse nemmeno dentro quel barattolo, forse nemmeno l’alcol, o quello che io credo sia alcol, può tenere a bada il passato feroce del serpente, la sua natura, la sua pericolosità, il suo veleno, il suo inganno.
Se inizio a pensare a queste cose stai certa che non mi addormento più.
La zia mi dice: forza, a letto, poi dopo aver tirato giù la tapparella mi dice: tutto bene? E io dico: sì, bene. Lei allora esce dalla stanza e si chiude la porta alle spalle.
Ma non va bene, in realtà.
Ho paura del serpente e nascondo la testa sotto il lenzuolo, ho caldo, sudo, e mi respiro la mia stessa anidride carbonica fino a che forse morirò.
Oltre il lenzuolo sento chiaramente esistere il serpente, lì tutto attorcigliato su se stesso “con l’orgoglio ferito di chi poi si ribella”. Perché prima o poi lo farà, è certo, di ribellarsi contro chi lo ha catturato e ficcato nell’alcol, e se ce la farà a uscire dalla sua prigione di vetro, è ovvio che se la prenderà con il primo che capita, perché la rabbia è così, si scaglia come una pietra contro la prima cosa che trova, in questo caso me. Anche se io non c’entro un bel niente con lui che si crede “vittima di un bilancio sbagliato”, non sono stata io ad averlo rinchiuso lì, dentro il barattolo, a mollo nell’alcol, e nemmeno ho idea di chi sia stato, lo giuro.
Finalmente la musica termina, Julio si zittisce, io rimango immobile e immersa nel silenzio.
Dopo un po’, dopo un bel po’, quando ormai l’aria sotto il lenzuolo si è fatta irrespirabile, tiro fuori la testa quel tanto che basta per prendere un po’ di ossigeno. Prima di rintanarmi di nuovo, oso guardarmi attorno.
Nella penombra il serpente è immobile, il giradischi fermo, la conchiglia muta, Marilyn immortalata per sempre, il rantolo moribondo del suocero di mia zia da qui non si sente, il mondo oltre la tapparella è quieto, tacciono le galline nel pollaio e i conigli nel fienile, non sanno che presto verrà loro tirato il collo ma io lo so perché l’ho visto.
La paura anche è muta, è infatti quando apro la bocca per chiamare aiuto, la voce non esce.

6 commenti Aggiungi il tuo

  1. Un incubo.
    Un incubo con la colonna sonora di Julio (semplicemente geniale, la realtà è insuperabile).
    Tante suggestioni in questo bel racconto con voce da bambina e immagini che vanno dall’horror al kitsch con un agile casqué.

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    1. Odette ha detto:

      uh grazie, che recensione fica ❤️🌸

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      1. Posso fare di meglio… 🙂

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      2. Odette ha detto:

        ahah facci pure eh

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      3. Ah, non sarà affatto faticoso. Trovo parecchi motivi di ispirazione qui fra le tue righe.
        (mi piace molto il tuo stile, in generale)

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      4. Odette ha detto:

        Love

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